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Così non va, sostengono i parlamentari. Secondo il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato di Italia Viva, di mezzo c’è la “giusta considerazione per la funzione parlamentare”. Ma qual è il problema? I caffè serviti al ristorante interno di Montecitorio non sono di qualità adeguate. Saremmo pronti a scommettere che qualsiasi sondaggio non posizionerebbe l’argomento in cima alla lista delle urgenze secondo la maggior parte dei cittadini italiani.
La buvette è stata “tempio indiscusso della politica della Prima e pure della Seconda Repubblica: il bar adiacente al Transatlantico dove gustare spuntini veloci, frutta prelibatissima, dolci di fine pasticceria e gli intramontabili supplì e che era un must ha chiuso i battenti a causa della riorganizzazione degli spazi imposti dall’epidemia.

 

 

Ora i deputati devono addirittura scendere al ristorante anche solo per il caffè. Che però, stando alle lamentele di Palazzo, manco quello è come una volta”.

Qualche deputato sostiene che “è una ciofeca”. Il problema è stato afffrontato anche in Ufficio di presidenza al momento dell’approvazione del Bilancio interno: c’è chi sostiene che anche la demagogia anti-casta debba avere un limite. Un buon caffè è un diritto?

E quelli che vanno a combinare? Hanno provato a rifilare agli onorevoli commensali arance egiziane “ed erano pure cattive”. Lapidario il commento di un salviniano doc. “Gli attuali standard di qualità non sono soddisfacenti”, ha tuonato Marzio Luini della Lega.

Rosato di Italia Viva è tra i più battaglieri: “Le politiche di contenimento dei costi dell’Istituzione siano state perseguite nella più ampia condivisione tra le forze politiche, ma non si può cedere alla demagogia”.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi