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Il caffè, bevanda così legata nell’immaginario comune alla cultura italiana, è invece straordinariamente amato e diffuso anche in Giappone, a tal punto che il paese è diventato, negli ultimi anni, il terzo importatore di caffè al mondo, dopo Stati Uniti e Europa.
In realtà, la presenza di questo prodotto in territorio nipponico ha una storia lunga e radicata: i primi a introdurvelo furono gli Olandesi nel ‘600, all’inizio del periodo Edo, ma bisogna aspettare i primi del ‘900 per avere una diffusione capillare, quando cioè i kissaten, le tipiche case del tè giapponesi, iniziarono a servire anche caffè e dolci.

Nel 1910, a Ginza, aprì la caffetteria Café Paulista, che si espanse presto con varie filiali in tutto il Giappone e nel resto del mondo, grazie anche agli accordi presi dal suo fondatore, Ryo Mizuno, col governo brasiliano dello stato di San Paolo dove, per altro, numerosi giapponesi erano emigrati per lavorare proprio nelle piantagioni. Oggi il Café Paulista di Ginza è la più antica caffetteria di Tokyo e il Brasile è ancora il primo fornitore del Giappone.
Dopo un blocco dovuto alla Seconda guerra mondiale, dal 1961 l’import del caffè venne liberalizzato, e i kissaten, in quel decennio, superarono le 150mila unità in tutto il paese. Dagli anni ’80, però, con l’arrivo delle grandi catene di caffetterie internazionali, il loro successo declinò. La cultura del caffè in Giappone, tuttavia, ne trasse beneficio, diffondendosi ovunque e per tutti i gusti.

 

 

Come si beve il caffè in Giappone?
A differenza dell’Italia, nei locali pubblici raramente il caffè si consuma in piedi al bancone, e nessuno si aspetta che ve ne andiate subito dopo averlo bevuto. Al contrario, è un rituale molto apprezzato prendersi del tempo per gustare un drip coffee o un pour over coffee, che sono la seconda tipologia di caffè più consumata in Giappone – la prima è quello solubile – e si ottengono filtrando i chicchi macinati con acqua bollente e carta o tela.

Per chi invece va di fretta, negli ultimi anni molti combini hanno installato delle macchinette automatiche dove è possibile prepararsi caffè, tè, cioccolata e altro in modo veloce ed economico, oppure esiste il caffè in lattina (la terza tipologia più diffusa), grazie a Tadao Ueshima, “il padre del caffè in Giappone”, che nel 1969 inventò il concetto di caffè ready-to-drink e lo fece conoscere a tutto il mondo promuovendolo, l’anno successivo, all’Esposizione Universale di Osaka. L’azienda da lui fondata, la UCC, ha aperto anche un museo del caffè a Kobe, e oggi, che fattura 110 miliardi di yen l’anno (circa 880 milioni di euro), le sue bevande possono essere acquistate in uno dei cinque milioni di distributori automatici presenti in tutto il paese.

 

 

L’espresso all’italiana è ancora un prodotto di nicchia, ma è forte la presenza di Illy, Lavazza, Segafredo e De Longhi (le ultime due gestite direttamente dalla casa madre italiana). Anche nel consumo casalingo, la moka è quasi sconosciuta, mentre nei negozi e grandi magazzini si possono trovare bollitori, dripper, V60, filtri, caraffe e attrezzature necessarie per l’estrazione.

In Giappone il caffè è così importante che nel 1980 venne fondata la All Japan Coffee Association (AJCA), per unificare l’industria e promuovere il consumo di caffè nel paese, mentre tre anni dopo la stessa organizzazione decise di dedicargli un giorno di celebrazione, il 1° ottobre, che è poi diventata ufficialmente la data della giornata internazionale del caffè, festeggiata per la prima volta nel 2015 a Milano. Insomma, sono molti i punti di unione e i ponti culturali tra Italia e Giappone, e l’amore per il caffè è sicuramente tra i più inaspettati ma gustosi.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi