Pellegrino Artusi, il padre dell’arte e della critica gastronomica nazionale, nei sui testi ha dato anche alcuni consigli per effettuare una tostatura artigianale, o meglio “fatta in casa”, dei chicchi di caffè. Pratica che se oggi sembra piuttosto strana, era di uso comune in passato, quando ad essere venduto era il caffè verde. Artusi di certo scrisse a ragion veduta, essendo figlio di un celebre droghiere nell’allora Stato Pontificio. Dopo aver raccomandato la massima attenzione, in quanto da questa dipende la buona riuscita della bevanda, il primo consiglio dell’Artusi è quello di usare legna anziché carbone, per regolare meglio il calore.
“Quando il caffè comincia a crepitare e far fumo, va scosso spesso il tostino mentre si deve aver cura di levarlo appena ha preso il colore castano-bruno e prima che emetta l’olio (a Firenze, in tempi antichi, per arrestarne subito la combustione lo si distendeva all’aria aperta); pessima sarebbe invece l’usanza di chiuderlo fra due piatti, perché in questo modo potrebbe appunto diffondere l’olio essenziale, con susseguente perdita dell’aroma” .
Secondo Artusi, così come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, da diverse qualità di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma più ricco ed equilibrato. Per Artusi, la miscela ideale dovrebbe “essere composta da 250 g di Porto Rico, 100 di Santo Domingo e 150 di Moka. Anche 300 g di Portorico con 200 di moka darebbero un ottimo risultato. Con 15 g di questa polvere si può fare una tazza di caffè abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare 10 g a testa per una piccola tazza usuale”. Artusi consigliava di tostarne poco per volta e conservarlo in vaso di metallo ben chiuso, macinando sul momento solo quello che necessita, perché perde facilmente il proprio profumo. Una permanenza dei chicchi per 2 o 3 settimane a temperatura ambiente e a contatto dell’aria, è sufficiente per alterare fortemente il gusto della bevanda, dovuto al processo di irrancidimento dell’olio contenuto. Concetti di assoluta attualità se si pensa che i materiali usati dall’industria per la confezione del caffè in chicchi sono praticamente impermeabili all’aria, così da permetterne una buona conservazione anche nel proprio barattolo o busta.
L’Artusi dispensa anche consigli sulla preparazione finale della bevanda, anche se in modo meno accurato rispetto alla tostatura: “Con gr. 15 di polvere si può fare una tazza di caffè abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare gr. 10 a testa per una piccola tazza usuale. A farlo vi vuol poco; Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco. Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.”
Nei sui scritti, il maestro mette in luce anche le peculiarità eccitanti e digestive del caffè, pertanto consiglia “a coloro ai quali l’uso del caffè provoca troppo eccitamento di astenersene o di usarlo con moderazione”; sosteneva, inoltre, che l’uso del caffè dovesse essere proibito ai più giovani.
Secondo una diceria ottocentesca, condivisa dallo stesso Artusi, il caffè eserciterebbe un’azione meno eccitante nei luoghi umidi e paludosi e si riteneva che questa fosse la ragione per cui i paesi in cui se ne fa maggior consumo in Europa sono il Belgio e i Paesi Bassi.
L’Artusi elogia il caffè per le proprietà digestive, spiegando come la sua azione sul nervo pneumogastrico è un dato di fatto innegabile per digerire meglio (l’uso invalso di prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto pranzo ne è una testimonianza, neppure troppo indiretta).
Preso alla mattina a digiuno, infatti, “sembrerebbe che il caffè vuoti lo stomaco dai residui di un’imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa”. L’autore riporta anche la testimonianza di una propria esperienza personale: “Io, per esempio, quando mi sento qualche imbarazzo allo stomaco non trovo di meglio, per ismaltirlo, che andar bevendo del caffè leggermente indolcito ed allungato coll’acqua, astenendomi dalla colazione”.