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Nonostante la crescente popolarità di capsule e cialde, più di un italiano su tre resta affezionato alla moka; per la precisione, il 31,5%. Questa viene ritenuta la soluzione più economica e anche più ecologica, considerato che il problema dello smaltimento apparentemente non si pone. Ma siamo sicuri che sia così? Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Pnas mette in bilico questa nostra illusoria certezza. Gli studiosi hanno monitorato 1.052 siti di campionamento su 258 fiumi in 104 Stati, rappresentando dunque un’area dove vivono 471,4 milioni di persone. Andando alla ricerca di contaminazioni da sostanze farmaceutiche, ne hanno trovate tre con una concentrazione ben maggiore rispetto alle altre: carbamazepina (una molecola anticonvulsivante), metformina (un antidiabetico) e caffeina. Esatto, proprio quella sostanza che è naturalmente presente nel caffè e gli conferisce quelle doti stimolanti che tanto apprezziamo. Questo accade anche perché c’è l’abitudine di buttare nel lavello la polvere di caffè rimasta nel filtro della moka. I moderni sistemi di depurazione riescono a filtrare la stragrande maggioranza dei residui presenti nell’acqua, ma non tutti. Poi c’è quel 5% che non viene metabolizzato dall’organismo ma espulso con le urine. Si tratta di percentuali minime che però, moltiplicate per migliaia e migliaia di volte, assumono un peso considerevole. Il problema sta nel fatto che la caffeina si bioaccumula nelle microalghe, nei pesci, nei coralli e nei molluschi, con varie ripercussioni tra cui stress ossidativo, neurotossicità, disturbi riproduttivi e metabolici. In alcuni casi può portare alla loro morte. Questo è un ottimo motivo per ricordarsi sempre di buttare la polvere di caffè nella frazione umida dei rifiuti: c’è anche chi lo usa come fertilizzante, ma solo per le piante che prediligono terreni acidi (tra cui azalee, camelie, frutti di bosco, basilico) oppure per le verdure a foglia larga.