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L’aspettavamo con ansia. Alla fine il verdetto della commissione nazionale per l’Unesco è arrivato. E con lui una sonora bocciatura. Quella della candidatura del «caffè italiano espresso tra cultura, rituali, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli». A essere approvata, nella riunione telematica tenutasi oggi sotto la presidenza di Franco Bernabè, è stata invece la candidatura dell’«arte italiana dell’Opera lirica», da presentare al Comitato intergovernativo per il ciclo 2023. Lo ha annunciato l’Unesco sul proprio sito precisando che, nonostante l’esito della votazione, «il dossier della candidatura del caffè espresso è stato molto apprezzato dai membri del Direttivo».

 

 

L’iter della candidatura passo dopo passo è stato un lavoro lungo e certosino, fatto di riunioni e mediazioni. Ma alla fine le parti sono state unificate e «il rito del caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli» era stato candidato a divenire patrimonio immateriale dell’Unesco. Non senza polemiche.
Dopo un lungo dibattito, infatti, era stato consegnato un unico dossier che racchiude tradizioni e culture diverse: l’Italia aveva individuato undici comunità emblematiche del caffè, Torino, Milano, Venezia, Trieste, Bologna, Roma, Napoli, Lecce, Pescara, Palermo e Modica che hanno sottoscritto la Carta dei Valori del Rito dell’Espresso italiano con i valori degni di essere condivisi con l’intera umanità. Una sintesi arrivata dopo un iter complicato che aveva creato alcuni imbarazzi, come la presentazione di due candidature e il respingimento di entrambe. Ma dopo i dissidi iniziali tra il Consorzio di Tutela del Caffè Espresso italiano tradizionale e la Regione Campania — con l’espresso partenopeo che rivendicava un ruolo (e quindi un fascicolo) a sé — già l’estate scorsa si veleggiava verso un’unica candidatura.