Un’interessante pagina di storia legata all’uso del caffè è percorsa da Lucia per il blog culturale unapennaspuntata.com. Di fatto il caffè era diventato una sorta di compagno di trincea, un doping che serviva ai soldati e agli ufficiali per sopportare la durissima vita sotto le bombe austriache. Anche se all’epoca il caffè non er ancora un abitudine quotidiana, tanto meno la colazione a base di latte e caffè.
“Non dormo da dieci giorni”, scriveva nell’aprile 1916 quel pover’uomo di Pasquale Ruggiero, sergente italiano in servizio sulle linee del fronte durante la prima guerra mondiale. Per chi si chiedesse il segreto della sua permanenza in vita nonostante lo sforzo sovrumano: il nostro amico si dopava. “Mangio solo caffè”, si legge subito dopo sul suo diario: insomma, era uno strafatto che andava avanti a caffeina.
Doveva essere provvisto di uno spacciatore che gliela mandava da casa, questa “droga” rinvigorente. Nel 1916, infatti, il caffè non figurava tra gli ingredienti delle razioni che venivano distribuite ai soldati italiani al fronte.
E qui immagino l’esecrazione popolare: “ma come?! Poveretti! Nemmeno uno straccio di caffè liofilizzato per la colazione?! Con che coraggio si fa stare un Italiano senza caffè?”.
Vi stupirà: l’Italiano-medio non ne sentiva affatto la mancanza. All’inizio del Novecento, non era così comune far colazione sorseggiando il caffelatte, dalle nostre parti.
Lo sottolinea Alessandro Marzo Magno nel suo Il genio del gusto, spiegando che “contrariamente a quanto accade in altri paesi europei, il caffè entra piuttosto tardi nella prima colazione di tutti gli italiani”.
Verrebbe la tentazione di dar la colpa al costo proibitivo, ma così non è: in altre aree d’Europa, il caffè (magari, non di altissima qualità) non mancava sulle tavole della classe media.
Erano giusto gli Italiani a non gradirlo, o meglio: a non avere l’abitudine di consumarlo quotidianamente. Gli unici a svegliarsi col profumo di caffè nell’aria erano gli aristocratici e i membri dell’alta borghesia, che se lo facevano servire in tazzine chiccose come quelle dei locali, magari accompagnandolo con una buona cioccolata calda.
Il resto della popolazione? A quanto pare, faceva una colazione salata, paradossalmente simile a quella che noi oggi definiamo “continentale”.
Nella sua Relazione degli usi e costumi d’Italia, Giuseppe Baretti spiegava ad esempio, a fine Settecento, che “la generalità de’ nostri contadini e del basso popolo fa colezione con della polenta, sulla quale, quando è ben calda, sparge del butirro fresco e qualche fetta di cacio”.
Grossomodo lo stesso piatto che ho mangiato io stasera a cena, ma non critichiamo le abitudini dei trisavoli e andiamo avanti.
Per la precisione, andiamo avanti con un balzo lungo cent’anni e torniamo alle trincee della Grande Guerra, là dove il disperato sergente Ruggiero si imbottiva di caffè per sopportare la privazione di sonno. In base alle razioni che venivano fornite ai soldati in servizio, possiamo farci una idea di quale dovesse essere, all’epoca, una “colazione tipo” dell’Italiano-medio (o quantomeno: dell’Italiano-medio al fronte).
E dunque: ogni mattina, i soldati si ritempravano con una mela fresca, un po’ di castagne o fichi secchi (150 grammi), una manciata di mandorle, noci, nocciole o formaggio (40 grammi) e qualche sardina giusto per gradire (30 grammi).
Nel 1917, tutto cambia. Una circolare dispone che, in aggiunta a quanto già detto, i soldati ricevano ogni mattina una dose di 8 grammi di caffè (aumentata a 15, e successivamente a 20 grammi, per i reparti impegnati in azioni di battaglia).
Curiosa, sono andata a informarmi su quanto caffè ci sia in un espresso: gli esperti consigliano di usarne non più di 8 grammi a tazza. Insomma: i soldati si bevevano ogni giorno due tazzine abbondanti!
A cosa attribuire questo improvviso cambio di rotta?
Forse al fatto che (come testimonia il povero sergente Ruggiero, e come lui numerose altre fonti) la fama del caffè come bevanda rinvigorente si era rapidamente diffusa nelle trincee, sicché i soldati si facevano spedire da casa quella “sostanza magica” che li aiutava a andare avanti?
Avrà forse avuto un peso la considerazione per cui l’esercito nemico forniva, in effetti, a tutti i suoi soldati un caffè liofilizzato (che poteva anche essere sciolto anche nell’acqua fredda, fungendo da bevanda energetica alla Red Bull)?
O forse, a diffondere il caffè nelle trincee italiane, fu una chiacchierata con l’esercito alleato? Gli Americani, ad esempio, facevano ampio uso del caffè sui campi di battaglia fin dai tempi della guerra di secessione, attribuendo a questa sostanza proprietà energizzanti che paiono, ai nostri occhi, francamente esagerate.
Tante ipotesi e nessuna certezza, all’infuori di questa: a partire dal 1917, il caffè fu un elemento immancabile nella colazione di migliaia di Italiani al fronte.
Spesso, le guerre plasmano i costumi nei modi più inaspettati (ricordate quanto raccontavo a proposito delle spiagge anni ’50?). E fu proprio la guerra a plasmare, insospettata le nostre mattine.
Tornati a casa dopo l’armistizio, i soldati portarono con sé l’abitudine di sorseggiare il caffè appena svegli, plasmando così la nostra prima colazione.