Tra tutti i contratti (futures) delle materie prime, a essere cresciuti di più quest’anno sono stati quelli del caffè, raggiungendo valori anche maggiori di quelli del petrolio e del gas naturale.
Finora nel 2021, infatti, i futures dell’avena sono aumentati di quasi l’87 per cento su base annua, e quelli del caffè dell’81 per cento, stando ai dati elaborati da Finviz.
I beni agricoli non sono solitamente le materie prime più movimentate, ha detto Tom Brady di JPMorgan a Quartz. Ma certi eventi – perlopiù metereologici, ma non solo – possono avere grossi effetti.
Per quanto riguarda il caffè, nello specifico, c’è stato prima un periodo di siccità e poi delle intense gelate in Brasile, il paese che vale da solo un terzo della produzione globale. Rispetto al 2020 i coltivatori hanno raccolto quasi il 40 per cento in meno di caffè arabica, la varietà più consumata nel mondo. Il meteo, stavolta nella forma di umidità eccessiva, ha danneggiato i raccolti anche in Colombia, il secondo maggiore fornitore di caffè arabica. La pianta del caffè impiega anni per raggiungere la maturazione necessaria alla produzione.
Al meteo avverso si sono sommati gli intoppi alle filiere (i porti congestionati, ad esempio), che hanno limitato il trasporto marittimo della merce. E poi l’aumento dei prezzi dell’energia, che ha reso più cari i fertilizzanti: il loro ingrediente principale è l’ammoniaca, prodotta dall’idrogeno, che a sua volta viene generato perlopiù a partire da combustibili fossili.
Nel prossimo futuro il rincaro dei futures di caffè si tradurrà in aumenti dei prezzi dei prodotti finiti negli scaffali dei supermercati e al bancone.
Ma ci vorrà del tempo prima che i rincari si materializzino davvero per i consumatori. Il caffè è infatti una materia prima facilmente stoccabile: la famosa catena Starbucks, per esempio, lo acquista con un anticipo di dodici-diciotto mesi.