E’ di questi giorni la polemica rilanciata dal Codacons relativa all’aumento del prezzo del caffè, che in alcune zone d’Italia sarebbe arrivato a costare 1,30 o addirittura 1,50 euro a tazzina. I rincari sarebbero scattati in concomitanza con l’inizio della ’Fase 2’ per bar e ristoranti, cioè con la loro riapertura al pubblico.
Da un lato l’associazione dei consumatori, pronta a denunciare il tentativo di far pagare i mesi di chiusura ai clienti, dall’altro la difesa della categoria che rivendica la qualità del prodotto e sostiene come il prezzo di un caffè fosse troppo basso già prima del Covid.
«È un vero e proprio scandalo che commercianti ed esercenti scarichino i mancati guadagni e i maggiori costi legati al Coronavirus sui consumatori finali», ha dichiarato il presidente del Codacons Carlo Rienzi, che ha aggiunto: «Speriamo si tratti di situazioni isolate, e che gli esercenti non decidano in massa di ritoccare i listini per rifarsi dei minori guadagni e dei costi di sanificazione dei locali».
In realtà va detto che i primi rincari si erano verificati già a gennaio, quando il virus non era nemmeno un’ipotesi e quello di una pandemia mondiale sembrava davvero l’ultimo dei pensieri. Il Covid19 c’entra insomma fino a un certo punto, perché quella sul prezzo del caffè al banco in Italia è, come detto, una battaglia che va avanti da anni.