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Il caffè aiuterebbe a prevenire il declino cognitivo e la demenza. A sostenerlo una ricerca dell’Università di Bari “Aldo Moro”, dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza e dell’Istituto superiore della Sanità.

Lo studio è stato condotto su campione di poco più di 1400 persone tra 65 e 84 anni. Dai risultati è emerso che il consumo regolare di caffè, intorno a una tazzina al giorno, riduce il rischio di deterioramento cognitivo lieve, una condizione che precede l’insorgenza dei sintomi della malattia di Alzheimer e della demenza, rispetto a chi non lo beveva mai o lo faceva raramente.

Le persone che con il tempo hanno aumentato l’assunzione quotidiana della sostanza, corrono invece un pericolo maggiore. Le probabilità di sviluppare la patologia, infatti, sono più alte di una volta e mezzo rispetto a chi assumeva regolarmente caffè e di due volte rispetto a chi ne ha ridotto il consumo. Nessuna differenza significativa infine tra le persone che bevevano più di due tazzine al giorno e quelle che lo consumavano raramente o non ne prendevano affatto.

 

La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease. I suoi autori sottolineano le evidenze in linea con studi precedenti sugli effetti neuroprotettivi del caffè o del tè.

L’associazione tra caffè e malattie degenerative è oggetto di ricerca da molti anni
«La notizia che chi consuma caffè ha meno tendenza a sviluppare alcune malattie degenerative, quali le malattie di Alzheimer e di Parkinson, rispetto a chi non beve caffè circola nella letteratura scientifica da circa 15 anni. Si è discusso a lungo se sia la caffeina responsabile di questo fenomeno, o se invece la tendenza a bere caffè sia la manifestazione di un carattere dinamico a sua volta indicativo di un ridotto rischio di malattia», spiega il professor Alberto Albanese, responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia I dell’ospedale Humanitas.

«Le ricerche più recenti, condotte anche su modelli sperimentali di malattia di Alzheimer, indicano che proprio la caffeina potrebbe essere la sostanza responsabile di un’azione preventiva nei confronti della malattia di Alzheimer. Con degli studi su un modello sperimentale di malattia di Alzheimer – aggiunge – è stato visto che un trattamento orale con caffeina riduce rapidamente il livello di beta-amiloide sia nel cervello che nel plasma. Risultati simili sono stati osservati nell’uomo in seguito alla somministrazione acuta di caffeina. Il caffè con caffeina, nei modelli con Alzheimer sperimentale, ha diminuito rapidamente i livelli plasmatici di beta-amiloide, mentre il caffè decaffeinato non ha causato tale riduzione. Ciò suggerisce che la caffeina svolga un ruolo fondamentale a tale riguardo».

 

 

Perché la caffeina avrebbe questi effetti?
«La caffeina potrebbe fornire i suoi effetti modificanti la malattia attraverso molteplici possibili meccanismi, forse attraverso una riduzione diretta della produzione di beta-amiloide mediante la riduzione dei livelli di secretasi beta e gamma. I risultati ottenuti su modelli sperimentali hanno utilizzato dosi di caffeina equivalenti a circa 500 mg nell’uomo (circa 5 tazze di caffè al giorno)».

Cosa suggerisce questa ricerca su caffè e declino cognitivo?
«La recente ricerca degli epidemiologi pugliesi suggerisce che dosi più basse (anche solo una tazzina di caffè al giorno) riducano il rischio di sviluppare i sintomi prodromici (deficit cognitivo lieve) della malattia di Alzheimer. L’aspetto delle dosi è certamente significativo, poiché l’assunzione di elevate dosi di caffè tutti i giorni può esporre a rischi da abuso di caffè, ad esempio di natura cardiaca. Queste ricerche si inseriscono nel panorama più ampio delle terapie preventive delle malattie neurologiche degenerative, che oggi sono in fase di sperimentazione con un ampio numero di molecole», conclude il professore.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi