Bere caffè diminuisce il rischio di malattie di fegato, lo dice uno studio. Secondo uno Studio pubblicato sulla rivista BMC Public Health, chi beve caffè, non importa se decaffeinato o no, ha un rischio minore di sviluppare malattie del fegato rispetto a chi non ne fa uso.
Da Un Esame della letteratura mondiale sull’argomento condotto dall’American Institute for Cancer Research, in particolare, emergerebbero forti evidenze che consumare caffè abbassa il rischio di neoplasie epatiche.
Va peraltro notato che questo studio stabilisce solo una associazione tra consumo di caffè e sviluppo di neoplasie, nel senso che si nota una minore incidenza nelle persone che bevono caffè, il che però non vuol dire necessariamente che ci sia un diretto nesso di causalità.
È però un fatto che dall’analisi di dati raccolti a livello mondiale emerge che chi beve caffè ha minori possibilità di sviluppare gravi malattie epatiche.
Lo studio pubblicato su BMC ha coinvolto quasi mezzo milione di pazienti britannici, parte di una ricerca a lungo termine chiamata UK Biobank. Nel momento in cui hanno accettato di partecipare, a tutti è stato dato un questionario da riempire.
Tra i dati da fornire c’era anche il consumo di caffè. La maggior parte, il 78 per cento, ha dichiarato di berlo, sia caffeinato che decaffeinato, mentre il 22 per cento non ne beveva affatto.
In un periodo di osservazione medio di quasi 11 anni, circa 9000 persone hanno sviluppato steatosi, o malattia del fegato grasso, e 184 pazienti sono andati incontro a un carcinoma.
S’è visto, in definitiva, che a paragone dei non consumatori di caffè le persone che lo bevevano avevano una probabilità del 21 per cento inferiore di contrarre malattie epatiche croniche, un 20 per cento in meno di possibilità di sviluppare steatosi e un 49 per cento in meno di morire per una malattia cronica del fegato.
È da notare che questo effetto si è osservato tenendo in conto anche l’eventuale consumo di alcol, l’età, l’eventuale sovrappeso e altri fattori di rischio, come per esempio il diabete.
Dalla ricerca è emerso che il massimo beneficio si ottiene con tre o quattro tazzine di caffè al giorno e non importa che si tratti di caffè solubile (istantaneo), espresso, o fatto con la classica polvere e la moka.
Circa il meccanismo di azione del caffè, un’ipotesi è che certe sostanze che contiene, come caffeina, acido clorogenico e cafestolo, potrebbero avere l’effetto di ridurre i danni al DNA e anche gli stati di infiammazione cronica.