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Di Luca Borhani – Corso Gastronomo Fondazione ITS agroalimentare Piemonte

 

E’ la bevanda più consumata al mondo (seconda solo all’acqua), con oltre 1,5 miliardi di tazzine bevute nell’arco di una giornata, ma la sua ascesa non accenna a diminuire, così come la sua diffusione. Stiamo parlando del caffè, bevanda ottenuta dai semi, tostati e poi frantumati, di una drupa (una sorta di ciliegia), ma come siamo arrivati alla situazione odierna?
Quello della “Coffea” (nome della pianta che produce queste grandi e preziose bacche) è un viaggio lungo e spesso avvolto da misteri e intrighi politici, insomma una storia degna dei migliori film thriller! L’origine della pianta di caffè viene collocata in Etiopia ed in particolare nella regione di Caffa (vi ricorda qualcosa?), ma i primi documenti, datati 1450, circa la sua coltivazione stabile vogliono una prima diffusione nell’area dell’attuale Yemen, e una successiva diffusione in tutto il mondo Arabo, con Il Cairo, in Egitto, come punto nevralgico del commercio.

 

 

Facile e piuttosto rapida, ma non meno importante, fu l’introduzione della bevanda in Turchia dove si diffuse ed insediò talmente da far nascere addirittura, attorno al 1555, i primi luoghi adibiti al consumo della stessa. Questi locali divennero presto ritrovi di persone ed idee, gli ottomani compresero appieno il potenziale economico e sociale di questa pianta dalle bacche d’oro e non tardarono quindi a commerciarla con l’estero, in particolare con l’allora vicina Venezia. Come tutte le tipicità arabe (e quindi islamiche) non fu ben accolta dalla chiesa, allora molto potente sul territorio italiano, che inizialmente la bandì etichettandola come “bevanda del diavolo” e “raddoppiatrice dell’io” date le sue qualità eccitanti ed energizzanti. Venne quindi messa alla stregua delle bevande alcoliche e servita unicamente nelle taverne sotto il nome di vino d’Arabia, ma per nostra fortuna, nei primi anni del ‘600, tale papa Clemente VIII rimosse qualsiasi proibizione circa il consumo e aprì la strada al successo in terra italica.

 

Pare che fin dal 1615, a Venezia, il caffè venisse venduto come medicamento nelle botteghe a prezzi spesso proibitivi, al pari delle spezie. Si diffuse ampiamente nella famiglie nobili di tutta Italia e, nel 1715, anche tra il resto del popolo, con l’apertura del primo bar (del mondo, sembra), proprio a Venezia. All’estero le cose non andarono molto diversamente. Già a fine 1600 le “coffee house”, cioè botteghe del caffè, erano popolarissime in Regno Unito ed anche in Francia, con più di 300 indirizzi tra Londra e Parigi.
I cafè ebbero fin da subito una “doppia faccia”: da un lato luoghi di convivialità e incontro disimpegnato, dall’altro vetrine di discussioni e dibattiti intellettuali. Con il tempo, naturalmente, diventarono luoghi di contestazione politica, tanto che nel 1676 il procuratore generale di Londra, temendo che si trasformassero in covi di potenziali insurrezionalisti, decise di far chiudere tutte le coffee house della città. Questa misura durò poco e le botteghe del caffè continuarono ad essere luoghi di ritrovo per l’intelletto ed il dibattito politico.
A Parigi, nel 1686, un siciliano di nome Francesco Procopio aprì quello che sarebbe diventato il modello di cafè francese, il Café Le Procope, meta di filosofi, artisti, uomini politici e scrittori, divenne così famoso in Europa da diventare sinonimo di circolo letterario. Nel mentre che il caffè si diffondeva in lungo ed in largo nel continente europeo, gli interessi economici attorno alla sua pianta crescevano esponenzialmente e di conseguenza molte corti vollero spodestare il dominio arabo sulla produzione della materia prima.

 

 

I primi a riuscirci furono gli Olandesi che, nella fine del 1600 con la Compagnia delle Indie, riuscirono a sottrarre alcune piantine ai Turchi e cominciarono la produzione in Ceylon (oggi Sri Lanka) e Giava (in Indonesia), imponendosi come punto di riferimento del mercato europeo del caffè. Circa 50 anni dopo i reali olandesi offrirono al re di Francia, Luigi XIV, come “speciale curiosità” due piante di caffè in fiore, collocate nelle serre reali di Versailles. L’ingenuità fu pagata a caro prezzo: un ex ufficiale di marina, Gabriel Mathieu de Clieu, rubò infatti un arbusto e lo trasportò oltre l’Atlantico, dando inizio alla coltivazione di caffè nella Martinica francese, un’isola delle Antille. Nei cinquant’anni successivi le piante di Coffea nelle Antille francesi raggiunsero il numero di venti milioni, riuscendo quasi a soddisfare l’enorme domanda europea. Ben presto le piantagioni si estesero a tutta l’area caraibica, da Haiti alla Giamaica, fino a Cuba e Portorico.
Guardando ai giorni nostri, i più grandi consumatori mondiali di caffè sono gli americani, mentre il più produttivo non è uno di quelli sopra citati, ma il Brasile.

Noi italiani siamo modesti consumatori di caffè (6kg l’anno pro-capite), soprattutto guardando ai cittadini nordeuropei (Finlandesi, su tutti, con 12kg l’anno pro-capite), ma abbiamo saputo trasformare questa bevanda da “vino d’Arabia” a “l’espresso” ed “il cappuccino”, che in tutto il mondo vengono richiesti ed immediatamente collegati alla nostra bandiera. Infatti, fin dal tardo 1700 a Napoli si affermò una variante al caffè turco: invece di cuocere la polvere dei chicchi macinati, come si fa ancora oggi in Turchia e Nord Africa, mescolandola ad acqua in un bricco di rame poggiato su braci o sabbia calda, si diffuse la cottura napoletana. Il nuovo metodo prevedeva il filtraggio dell’acqua bollente, fatta colare dall’alto attraverso la polvere di caffè, nacque così la cuccumella.

 

Nel 1902, Milano vide la comparsa dell’espresso, grazie all’invenzione dell’ingegnere Luigi Bezzera: una macchina che sfruttava l’alta pressione per filtrare il macinato.
Nella moka, infine, messa a punto dall’imprenditore Alfonso Bialetti nel 1933, l’acqua portata a ebollizione venne fatta salire dal basso.
Insomma, questa bevanda è un perfetto esempio di come lo scambio, la comunicazione e l’integrazione culturale siano fondamentali allo sviluppo e all’accrescimento del patrimonio (in questo caso gastronomico) dell’umanità. Se la pianta del caffè e il suo utilizzo non fosse mai uscito dal suo luogo di origine, noi oggi non potremmo gustare quella che oggi è la bevanda che segna il buon inizio di ogni giornata.